Chiacchiere e preoccupazioni
“Come stranamente simili sono chiacchiere e
preoccupazioni. Tanto le une quanto le altre sono il prodotto di una mente
inquieta. Una mente inquieta deve avere una mutevole varietà di espressioni e
di azioni, deve essere occupata; deve avere sensazioni sempre più accentuate,
interessi passeggeri, e le chiacchiere contengono gli elementi di tutte queste
cose. Le ciarle sono l’antitesi medesima dell’intensità e del fervore. Parlare
di un altro, simpaticamente o con cattiveria, è una evasione dal proprio io, e
l’evasione è causa di irrequietezza. (…) Il pettegolezzo è un’espressione della
mente irrequieta; ma il solo fatto di essere silenziosi non indica una mente
tranquilla. La tranquillità non viene in essere con l’astinenza o il diniego;
viene dalla comprensione di ciò che è. Comprendere ciò che è richiede una
pronta consapevolezza, perché ciò che è non è statico.
Se
non ci preoccupassimo, in massima parte non ci accorgeremmo di essere vivi;
lottare con un problema è per la maggioranza di noi indicazione della nostra
esistenza. Non possiamo immaginare la vita senza un problema; e più siamo
assorti in un problema, più vivi crediamo di essere.
La
costante tensione su di un problema che soltanto il pensiero ha creato non fa
che ottundere la mente, rendendola insensibile e stanca. Perché questo
incessante preoccuparsi di un problema? Il preoccuparsi risolverà il problema?
O la risposta al problema viene quando la mente è tranquilla? Ma per la
maggioranza delle persone, una mente tranquilla è cosa piuttosto temibile;
hanno paura di essere tranquilli, perché sa il cielo che cosa potrebbero scoprire
in se stessi, e preoccuparsi è prevenire ciò. (…)
Ciarle
e preoccupazioni possono avere fine solo quando l’irrequietezza della mente sia
compresa. La mera astinenza, il controllo e la disciplina soltanto non
procureranno la tranquillità, ma ottunderanno la mente, rendendola insensibile
e ristretta. La curiosità non rappresenta la via della comprensione. La
comprensione viene dalla conoscenza di se stessi. Colui che soffre non è
curioso; e la semplice curiosità, coi suoi eccessi meditativi, è un intralcio
alla conoscenza di se stessi. La meditazione filosofica, come la curiosità, è
un indizio di irrequietezza; e una mente irrequieta, per dotata che sia,
distrugge la comprensione e la felicità.”
Tratto da Meditazioni sul vivere vol.1
di Jiddu Krishnamurti
Nessun commento:
Posta un commento